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The Flying Saucer (1950) – Il primo lungometraggio

Prodotto tra il 1948 ed il 1949, ma distribuito il 5 gennaio 1950 (e poi brevemente ridistribuito nelle sale nel 1953 in accoppiata con un secondo film), “The Flying Saucer” è il primo film direttamente legato al fenomeno “dischi volanti”, allora di recente nascita (estate 1947). Fu proiettato anche fuori dagli Stati Uniti, quantomeno in Messico, Venezuela, Francia e Belgio. Il fim non sembra essere stato distribuito in Italia.

In realtà non si tratta della prima pellicola in assoluto legata alla tematica della visita dallo spazio: tralasciando brevi pellicole dell’epoca del cinema muto, nel 1945 uscì “The Purple Monster Strikes“, un film in dodici parti (come era allora d’uso per molti serials prodotti tra il 1945 ed il 1952, aventi come tema comune l’invasione di esseri spaziali di aspetto tipicamente umano, visti anche i modesti budget con cui venivano realizzati) della Repubblic Pictures, in cui il marziano Mota (leggendo al contrario: “Atom”!) sbarca sulla Terra a bordo di un razzo tipo Flash Gordon, quale avanguardia di un’invasione marziana. La sua arma principale è un raggio della morte. Sotto forma di film, fu trasmesso in televisione nel 1966 con il titolo “D-Day on Mars

Nel 1950, la Republic Pictures distribuì  il serial, “Flying Disc Man from Mars“, che ne doveva essere il seguito, facendo ampio uso di scene di quello del 1945 e di altri, precedenti e successivi ad esso,  e il cattivo invasore arrivò a bordo di un più moderno disco volante. Nel 1958 venne nuovamente distribuito nelle sale cinematografiche, questa volta sotto forma di vero e proprio film, con il titolo di “The Missile Monsters“. Paul Meehan nel suo “Saucer Movies”rileva come il costume dal marziano (peraltro totalmente “umano”), una tuta attillata dotata di cappuccio aderente alla testa, sia stato usato da molti altri film di fantascienza degli anni cinquanta (tra cui “Killers from Space”) e sia stato spesso riferito anche dai testimoni di alcuni incontri ravvicinati del terzo tipo.

“The Flying Saucer”, comunque, non presenta i dischi volanti come astronavi aliene, ma come il prodotto tecnologico di una potenza straniera (anche se non citata direttamente, l’Unione Sovietica, visto che si era in pieno clima di guerra fredda) capace di produrre un’isteria sulle masse che può essere sfruttata a fini di guerra psicologica (paura che assillava i militari americani fin dalla primissima comparsa dei dischi volanti). Inoltre, nel 1948, quando il film cominciò a vedere la luce, l’ipotesi dell’arma segreta terrestre era ancora fortemente “accreditata”, anche se in breve tempo, e anche con il contributo fondamentale di alcuni film di fantascienza, perse velocemente terreno a favore di quella che vedeva i “dischi volanti” come astronavi provenienti dallo spazio.

L’uso del titolo “The Flying Saucer” attribuito ad un film definibile come di spionaggio più che di fantascienza fu senz’altro destinato a capitalizzare il crescente interesse del pubblico verso il mistero dei dischi volanti, che proprio nello stesso mese di distribuzione del film acquisì un decisivo e fortissimo impulso verso l’interpretazione extraterrestre grazie al famoso articolo di Keyhoe pubblicato sulla rivista “TRUE”.


Un tema molto simile a quello del film fu ripreso il 17 Aprile 1950, quando la CBS trasmise un radiodramma intitolato “Flying Saucers”, in cui una serie di aeroplani della compagnia Triangle Airlines spariscono dai cieli nei pressi del Canale di Panama dopo avere riferito l’osservazione di un disco volante che si avvicinava a loro. Un agente speciale viene inviato sul posto e scopre che un partito rivoluzionario ha installato un aerodromo segreto nella zona. L’uso dei “dischi volanti” da parte di tali rivoluzionari è finalizzato proprio a distruggere la compagnia aerea ed impedire che i suoi piloti possano scoprire l’aerodromo stesso ed avvisare le autorità.

Mikel Conrad, l’autore, regista ed attore del film, cadde in disgrazia nell’ambiente di Hollywood per essersi inventato una messinscena a fini pubblicitari per lanciare il film. Conrad, infatti, assoldò un attore per impersonare un agente dell’FBI, il quale finse di sequestrare il film perchè avrebbe contenuto delle “vere” immagini di un disco volante. Un’altra versione riferisce che tale agente “McKnight” fu presentato a due pubbliciste, collaboratrici di Conrad, per confidare loro che era stato lui a dare al regista il filmato. Ma Conrad affermò anche che lo spezzone relativo al disco volante sarebbe stato ripreso da lui stesso durante un viaggio in Alaska (dove in effetti presumibilmente si recò per girare delle inquadrature), come riportato dall’ “Hollywood Report” del 25 Ottobre 1949.

Il ricorso (in questo caso a scopi palesemente pubblicitari, per far parlare di un film di per sè molto modesto) all’espediente del documento ufficiale segreto di cui si è “fortunosamente” venuti in possesso avrà numerose ed anche più sofisticate imitazioni negli anni a venire, fino ad arrivare ai giorni nostri ed essere usato anche in altre nazioni, Italia compresa. Conrad, inoltre, può ben essere definito un precursore dell’idea del “cover-up”, cioè della pretesa occultazione da parte delle autorità militari di testimonianze e documenti relativi ai dischi volanti, al fine di negarne l’esistenza. Questa idea si sviluppò sempre di più a partire dalla metà degli anni cinquanta (grazie anche al già citato Donald Keyhoe), diventando presto patrimonio comune della cultura popolare ed uno degli argomenti preferiti da parte di molti appassionati di UFO.

Le immagini relative al disco volante sono poche inquadrature concentrate verso la fine del film (se si eccettua una, brevissima, verso l’inizio della pellicola, ritraente il disco per un istante), quando una breve sequenza mostra la partenza del disco dall’interno di una caverna, il rapidissimo decollo verso il cielo, una virata ad angolo retto e quindi la sua esplosione in volo. I trucchi usati per la partenza del disco erano rudimentali: si tratta di un modellino realizzato alla meglio e fatto muovere per mezzo di un cavo scorrevole su di un binario.

In effetti la presenza di due reattori dorsali che emettono un’abbondante dose di fumo forniscono al velivolo un aspetto decisamente tecnologico, ma sicuramente terrestre. Non a caso è stato inserito anche in un documentario italiano, distribuito nell’ambito di una collana dedicata al nazismo esoterico, ed imperniato sul sempre affascinante tema dei cosiddetti “UFO Nazisti”. In quel contesto, e senza alcun riferimento alla sua vera fonte, sembra confermare le tesi assertive in merito alla costruzione di “dischi volanti nazisti” sul finire della seconda guerra mondiale. Una foto del disco fu pubblicata anche nel fascicoletto a corredo del documentario.

La forma e le caratteristiche del disco volante (completo della classica cupola trasparente) non sembrano avere un riscontro diretto con gli incontri ravvicinati italiani del periodo, ma, al contrario, è possibile trovare numerosissimi esempi simili o quasi uguali in illustrazioni pubblicate su quotidiani e riviste dei primi anni cinquanta, nonchè su parecchi fumetti e vignette della stessa epoca. Si trattava quasi sempre di “dischi”, solitamente dotati di cupola, dotati, in posizione centrale oppure disposti lungo la circonferenza del disco stesso, di due o più reattori. Il tutto forniva una forte connotazione tecnologica (e piuttosto ingenua) alla rappresentazione del disco, in un’epoca di transizione tra l’idea dell’arma segreta terrestre e quella del fantastico vascello spaziale, dove, comunque, la propulsione a getto rappresentava quanto di più moderno ed avveniristico si potesse facilmente immaginare.

Proprio in quest’ottica, le dichiarazioni dei pretesi inventori tedeschi di dischi volanti (Belluzzo, Schriever, Miethe, Klein, ed altri) facevano riferimento a velivoli dotati di reattori per la loro propulsione, in modo relativamente simile al disco del film di Conrad, ma molto di più alle rappresentazioni contemporanee e successive che apparivano su settimanali e quotidiani dell’epoca (in una sequenza causa-effetto ancora difficile da decifrare). La “fusione” tra la tecnologia terrestre e i misteriosi dischi volanti arrivò a rarefarsi dall’iconografia (soprattutto in Europa e in Italia, prima ancora negli Stati Uniti) già intorno al 1953 e quasi a sparire in concomitanza con l’ondata del 1954, quando ormai i dischi erano diventati sicuramente “extraterrestri” (o, meglio, “marziani”) nell’immaginario collettivo della popolazione. A quel punto i connotati convenzionali della più avanzata tecnologia venivano sostituiti da rappresentazioni relativamente più semplici, dove la propulsione del velivolo non era palese e, quindi, ulteriore indicatore di una “magia” appartenente a qualcuno non di questa Terra.

Ma il progenitore delle rappresentazioni “terrestri” dei primi dischi volanti e delle descrizioni dei “dischi nazisti” circolate nei primi anni cinquanta del ventesimo secolo può essere fatto risalire all’illustrazione pubblicata sulla quarta di copertina del numero di Novembre 1947 della rivista americana “Fantastic Adventures“. Per illustrare un articolo firmato da Millen Cooke (con lo pseudonimo di Alexander Blade) ed intitolato “Son of the Sun” (un ) fu introdotto anche uno schema di uno dei dischi (in realtà una vista di sezione di uno dei loro vascelli volanti, che diventò nella tradizione, a seguito di varie copie e semplificazioni, “l’occhio di Horus” e l’occhio di altri dei in altre civiltà). In esso era chiaramente evidenziata e descritta la presenza di dodici reattori posti lungo la circonferenza del disco, in quattro gruppi da tre, che potevano essere accesi in sequenza per produrre la rotazione del velivolo. Nel centro del disco veniva indicata la presenza di una cabina centrale sospesa all’interno di una sfera e controllata attraverso dei giroscopi. Il particolare dei dodici reattori e della cabina centrale sarà poi ripreso nelle descrizioni fornite dagli “inventori” tedeschi dei dischi volanti, pochi anni dopo …

Nel racconto i dischi venivano indicati come i velivoli di una razza extraterrestre che da sempre controlla lo sviluppo dell’umanità e che è stata considerata dagli uomini dell’antichità come dei, soprattutto nell’antico Egitto, dove si è palesata in modo particolare. Ora questa razza si presenta a noi per  evitare un conflitto atomico. Si tratta di  uno dei primissimi riferimenti a tale possibilità, ripresa negli anni successivi dalla maggior parte dei contattisti. L’articolo fu ripreso anche dalla pubblicazione contattistica “Round Robin” dell’agosto-settembre 1958, nonchè dalla rivista di ufologia “Flying Saucer Review” nel numero di novembre-dicembre 1958. Il racconto pubblicato da “Fantastic Adventures” (diretta all’epoca da Ray Palmer, uno dei personaggi chiave nella diffusione della tematica dei dischi volanti in chiave extraterrestre) sembra rappresentare anche una delle basi su cui si fonderanno molti messaggi contattistici degli anni seguenti, nonchè alcuni argomenti legati alla cosiddetta “archeologia spaziale”.

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