GLI UFO VENGONO DA MARTE
L’abbiamo sempre saputo, no?
Maurizio Verga
Ci fu un tempo, tanti anni fa, in cui i dischi volanti (come allora si chiamavano i fenomeni UFO) provenivano quasi sempre da Marte. Stampa, fumetti e cinema tra il 1950 ed il 1954 indicavano nei “marziani” i piloti dei dischi volanti. In realtà qualcuno, negli Stati Uniti, aveva già cominciato a sospettarlo già dal 1947, generando un’idea che si tramutò nel giro di pochissimi anni in qualcosa di simile ad una certezza per coloro che erano convinti della presenza di esseri extraterrestri nei nostri cieli.
Nell’immaginario collettivo della cultura popolare, americana prima ed internazionale poi, i marziani potevano essere finalmente arrivati a noi a bordo di quei fantastici ed affascinanti dischi volanti che in pochi anni avevano riempito i giornali e i sogni tecnologici di una popolazione sempre affamata di novità sbalorditive e pronta ad accettare, magari senza ammetterlo, l’incredibile. Purchè affascinante e comprensibile: dischi e marziani, dopotutto, non erano così tanto più avanzati di noi. Erano solo qualche passo più avanti.
I marziani, fino a pochissimi decenni fa il sinonimo per antonomasia dell’extraterrestre e una figura quasi romantica da tempo soppiantata dai “grigi” e dalla loro tecnologia magica, non furono considerati casualmente i piloti dei dischi volanti. Per settanta anni entrarono lentamente e costantemente nella cultura popolare, sedimentando e sviluppando l’idea che Marte fosse abitato da esseri intelligenti. Esseri che diventavano sempre più tecnologicamente avanzati di pari passo al progresso tecnologico umano, fino a raggiungere la possibilità di arrivare in massa sulla Terra a bordo dei dischi volanti, quando maturò l’insieme delle condizioni affinchè ciò potesse essere accettabile.
Fin dall’antichità classica gli intellettuali hanno discusso della possibilità di vita su altri mondi. Una vasta letteratura è stata dedicata fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo alla descrizione di viaggi interplanetari ed all’incontro con esseri extraterrestri. Marte (e prima di esso la Luna) fu il soggetto preferito, soprattutto a partire dal 1877, quando un errore di traduzione degli scritti dell’astronomo italiano Virginio Schiapparelli diffuse nel mondo anglosassone allora dominante, e da lì nel resto del mondo, il concetto che Marte ospitasse una vita talmente tecnologicamente avanzata da essere stata in grado di realizzare opere titaniche come i “canali”.
Pensare che esistessero marziani capaci di comunicare con noi non era un concetto disdicevole nel mondo scientifico dell’epoca, quantomeno fino a quando l’argomento diventò troppo popolare a causa della copertura giornalistica sempre più massiccia, generando la nascita di idee e personaggi bizzarri ed inverosimili. Qualcosa di simile a quello che accadde nei primissimi anni successivi alla nascita dei dischi volanti. A personaggi del calibro di Gauss e di von Littrow furono attribuite, nei primi decenni del XIX secolo, proposte di comunicazione con Marte, che vennero poi riprese e sfruttate a più riprese da altri per molte decine di anni. Erano tempi quasi totalmente estranei al nostro, molto più semplici ed ingenui tanto nelle persone quanto nelle idee.
Da parecchio tempo a questa parte ho maturato la forte curiosità per cercare di capire non tanto gli effetti visibili regolarmente (gli avvistamenti) e riscontrabili quotidianamente (il mito), ma la causa originaria di quello che siamo soliti chiamare, in modo generico e per approssimarne la complessità, “fenomeno UFO”. L’approccio è stato quello di considerare in modo diretto ed il più documentato possibile la nascita dei dischi volanti nell’estate del 1947 negli Stati Uniti. L’idea da verificare era se il fenomeno non nacque “casualmente” ed improvvisamente, ma fu il risultato di una preparazione che si concluse nel posto giusto, nel momento giusto e con il testimone giusto.
Tale “preparazione” fu principalmente legata allo sviluppo dell’idea, vecchia di secoli, della vita su altri mondi. La sua evoluzione, semplificando molto quello che in realtà avvenne, vide un intreccio di discussioni, sempre più popolari e diffuse, sulla presenza di abitanti su Marte, sulla comunicazione verso di loro o la ricezione di loro messaggi, e sulla possibilità (per taluni una certezza) di una loro visita sulla Terra. Sebbene non vi fu un preciso sviluppo temporale di queste fasi, talvolta contemporanee tra loro e seppure con pesi diversi, l’idea che emerse alla fine del lungo processo fu quella che i marziani fossero talmente progrediti da arrivare fino a noi.
Negli Stati Uniti del 1947 tale idea, seppure marginale a livello di cultura dominante, era comunque presente in ampi strati di quella popolare, grazie anche alla grande diffusione delle riviste pulp di fantascienza e dei fumetti di Buck Rogers, Flash Gordon, Brick Bradford ed altri eroi che impazzano nelle diffusissime edizioni domenicali dei quotidiani. Lo strano avvistamento di Arnold, la sua fulminea e inusuale copertura mediatica, ed il ruolo mai ben chiarito di Ray Palmer e dei tanti lettori delle sue riviste fecero emergere subito l’idea di visite marziane nei nostri cieli. Tale idea è riscontrabile sui quotidiani americani dell’estate del 1947 in una quantità sicuramente minoritaria rispetto all’imponente (e parzialmente conosciuta) mole di articoli dedicati ai dischi, ma in una percentuale sicuramente non trascurabile e molto superiore a quella, del tutto sottostimata, a cui hanno sempre pensato i ricercatori americani.
Ma, come detto, tutto ebbe probabilmente inizio molti decenni prima. Il grande clamore suscitato nel 1877 dai canali di Marte (peraltro già osservati da altri negli anni precedenti, incluso l’astronomo italiano Secchi nel 1859) fu per molti anche una sorta di “wishful-thinking” capace di dare una conferma scientifica a idee, intuizioni e desideri da tempo presenti nella comunità intellettuale. Per molti il pianeta rosso divenne la sede di esseri più avanzati di noi e la tesi divenne ancora più diffusa e popolare a partire dal 1894, quando Percival Lowell, un ricco appassionato americano di astronomia, dedicò la sua vita ad affermare con forza la loro esistenza, sviluppando un’idea utopica di Marte e dei marziani che ebbe una fondamentale influenza sulla cultura popolare. Lowell contribuì anche a creare una sorta di frattura nel mondo accademico tra una maggioranza che, forte di nuove osservazioni astronomiche e di un ragionevole spirito critico,osteggiava e negava con forza le sue entusiastiche tesi ed una minoranza che abbracciava, più o meno completamente, le medesime.
Le proposte per creare gli strumenti necessari per comunicare con il pianeta Marte divennero sempre più numerose, spesso fantasiose, sicuramente ingenue, visto che venivano quasi sempre confutate da semplici calcoli. All’inizio erano tutte basate sulla comunicazione ottica: ciclopici segni realizzati in vario modo per riprodurre figure geometriche o il teorema di Pitagora, lampi modulati di luce riflessa da enormi specchi, giganteschi fuochi o luci elettriche, ed altro ancora. L’obiettivo era quello di farci notare dagli astronomi di Marte con segni che evidenziassero la presenza di forme di vita intelligente sulla Terra. Ma anche gli stessi marziani sembravano darsi da fare: tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la stampa riportò non poche osservazioni di fenomeni luminosi sulla superficie di Marte, presentati come possibili tentativi di comunicazione, ma poi sempre spiegati. Qualcosa di simile accadde molti decenni dopo: in una fotografia scattata dalla sonda americana Viking nel 1976 molti ritennero di trovare un viso antropomorfo scolpito nella roccia, un segnale lasciato da una civiltà marziana per testimoniare la propria presenza a chi sarebbe arrivato sul pianeta. Durò circa tre decenni, dando vita ad un vero e proprio filone, prima di essere definitivamente spiegata dalle foto di un’altra sonda.
Quando arrivò la radio, la nuova meraviglia tecnologica che rappresentava il massimo dell’epoca, cambiò tutto. Diventò subito il nuovo strumento per comunicare attraverso gli abissi dello spazio interplanetario, ma la nostra tecnologia era ancora primitiva, per cui si puntò soprattutto sull’ascolto dei messaggi radio che ci avrebbero inviato i marziani. Anche in questo caso furono tanti i personaggi e gli episodi che vennero pubblicizzati, con grande enfasi, dalla stampa internazionale, raggiungendo un numero sempre maggiore di lettori e diffondendo quindi sempre di più nella cultura popolare l’idea della probabile presenza di marziani più progrediti di noi. Una probabilità che nella semplificazione della diffusione e sedimentazione delle notizie in fasce di popolazione meno preparate divenne una realtà confermata dalla stampa. Personaggi famosi come Tesla, Marconi ed altri entrarono a più riprese nella storia dei segnali radio da Marte, fornendo un’ulteriore, apparente, garanzia di attendibilità e contribuendo all’instaurazione di un clima definibile come “Marsmania”, che durò fino alla fine degli anni venti del XX secolo.
Altri personaggi divennero famosi grazie alle loro improbabili affermazioni di contatti con Marte, solitamente per mezzo di comunicazioni spiritiche o telepatiche. Un attempato signore inglese, Hugh Mansfield Robinson, acquisì ampia notorietà sui quotidiani di tutto il mondo, in due diverse occasioni (1926 e 1928), per i suoi viaggi extra-corporei su Marte e, soprattutto, per i telegrammi e contatti telepatici con una sua amica marziana. Robinson fu un vero e proprio proto-contattista, con comportamenti ed affermazioni molto simili a quelle dei bizzarri (spesso cialtroneschi) contattati che apparvero a partire dal 1950 in relazione al fenomeno dei dischi volanti.
L’esistenza dei marziani, e la comunicazione con loro, erano entrati così stabilmente nella cultura popolare da essere subito usati dalla pubblicità e dall’arte, nella musica, nel teatro e nel cinema. Il “marziano” divenne anche una figura retorica usata frequentemente fino al 1947 sia per presentare un punto di vista esterno a quello degli uomini sia per rappresentare tutto quello che poteva essere fantastico e meravigliosamente avanzato.
L’idea che Marte fosse abitato da esseri intelligenti era già presente, seppure in forma assolutamente minoritaria, durante l’ondata di strane “aeronavi” che interessò gli Stati Uniti tra il novembre 1896 ed il maggio 1897. Ma in quell’occasione l’idea si tramutò in alcune notizie in cui si attribuiva ai marziani l’origine stessa delle aeronavi. Si trattò sempre di falsi giornalistici o di accenni estemporanei, che sfruttavano una convinzione popolare sempre più diffusa. Il caso maggiormente conosciuto fu quello del preteso “crash” di Aurora, un altro falso probabilmente perpretato da un giornale locale, in un’epoca in cui dominava ancora il cosiddetto “yellow journalism” e lo scopo di soddisfare la curiosità dei lettori e conseguentemente le vendite, non l’obiettività della cronaca. L’incredibile storia del marziano trovato morto tra i rottami del velivolo, e quindi seppellito nel locale cimitero, trova ancora oggi ingenui e poco documentati sostenitori. Anche nella successiva ondata di aeronavi del 1909 in Gran Bretagna e Nuova Zelanda si trovano sporadiche, ma significative associazioni con i visitatori da Marte.
Decennio dopo decennio i marziani divennero un elemento stabile della cultura popolare, associato al concetto di progresso e meraviglia tecnico-scientifica. Il 24 giugno del 1947 i marziani esistevano già da molto tempo e con essi anche l’idea che potessero arrivare fin qui, come era stato clamorosamente dimostrato nove anni prima in occasione della trasmissione radiofonica di Orson Welles. Senza di loro, molto probabilmente, l’osservazione in volo di un oscuro venditore americano di attrezzature anti-incendio, due anni dopo la fine di una guerra terribile e la paura di una nuova, sarebbe stata confinata nella cronaca di un giornale locale o sarebbe stata comunque ripresa come curiosità da altri.
La notizia sarebbe probabilmente nata e morta nel giro di pochi giorni, come quasi sempre accade. E noi non staremmo leggendo questo articolo.
Marzo 2012